A 80 anni dal rastrellamento del ghetto ebraico di Roma
Nel 1938 Mussolini aveva proceduto al censimento degli ebrei collegato alle leggi razziali. Così i nazisti non dovettero faticare molto ad individuare gli indirizzi, ad entrare nelle case, a prelevare concittadini ebrei per deportarli ad Auschwitz in quell’alba del giorno 16 ottobre 1943.
Non è ancora sorto il giorno su una Roma non ancora del tutto consapevole di ciò che stava per accadere quando nell’area dell’ex ghetto, dove molti nostri concittadini ebrei abitavano ancora, malgrado già con l’Unità d’Italia fosse terminata la ghettizzazione forzata istituita da Paolo IV con la bolla Cum nimis absurdum (14 luglio 1555), i tedeschi danno via al rastrellamento.
Era sabato quel 16 ottobre del 1943, giorno di riposo e di preghiera per gli ebrei, occasione propizia per dare corso alla sorpresa. Rumore di camion, ordini concitati, indirizzi alla mano, i tedeschi arrivano nell’ex ghetto e le loro sagome scure si stagliano nell’ombra ancora buia della notte che stenta ad allontanarsi. Bussano, sfondano, gridano l’ordine dattiloscritto: «Dovete essere pronti in 20 minuti, portare cibo per 8 giorni, soldi e preziosi, con voi anche i malati, nel campo dove vi porteranno c’è un’infermeria…». I nazisti non sciamano soltanto nel ghetto: altri quartieri di Roma sono interessati dalla stessa “caccia all’ebreo”: giovani e vecchi, sani e malati, bambini e neonati vengono caricati a forza sui camion e portati al Collegio Militare di via della Lungara e poi il 18 ottobre, spostati alla stazione Tiburtina, caricati su 18 carri bestiame con destinazione Auschwitz. Chi tornò da quella lunga notte di dolore, di morte, di male assoluto? Una manciata di persone.
16 ottobre 2023: la storia si è fermata ancora. Caccia all’ebreo, nelle strade di Israele, i terroristi di Hamas (in arabo “resistenza”), nazisti del terzo millennio, sciamano nelle strade, entrano nei kibbutz, inseguono, rapiscono, sgozzano, violano corpi di giovani, bambini, vecchi, ammalati, sani, famiglie: è ancora caccia all’ebreo.
É stata innescata una miccia che ha già iniziato a scatenare conflitti nei Paesi confinanti perché, questa è la dolorosa medicina che siamo costretti a bere, nella nostra storia di uomini non c’è nulla di totalmente finito. Soprattutto quando si tratta dell’uso delle armi con le quali si pretende di riportare la pace messa in pericolo proprio dall’uso della forza. Ancora oggi, noi, proprio noi, siamo interpellati a scegliere se stare da una parte o dall’altra, o se con l’astuzia del falso ragionamento dire un “si sto con…” attenuato dal “ma anche con”. Allora che fare? Riaffermare la forza del diritto che non ammette ambiguità, che richiede parole chiare, se vogliamo anche di buon senso, non scendere a compromessi con le nostre emozioni.
Facciamo nostre le parole chiare, solenni, definitive di papa Francesco pronunciate al Convegno di spiritualità scalabriniana, sabato 14 ottobre u.s: «Ciascuno ha diritto a migrare, così a maggior ragione ha diritto a poter rimanere nella propria terra e a viverci in modo pacifico e dignitoso».