Centro Italiano Femminile

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PRESIDENZA NAZIONALE

31 Ottobre 2024

2 Novembre: grande festa nella casa del Padre

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“Dal dí che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi all’etere maligno ed alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina”. Così i mirabili versi di U. Foscolo nel carme Dei Sepolcri. Niente di più azzeccato per il giorno della commemorazione dei nostri defunti. Non c’è paese, borgo, contrada, città che non abbia il suo cimitero che in questi giorni si popola di visitatori ciascuno con un mazzo di fiori ed un lumino. Sì, siamo diventati umani quando abbiamo cominciato a tramandarci il culto dei defunti e a strappare, grazie alla pietà, la vita alla dissoluzione della morte. Il corpo che custodiamo ci appartiene ancora sebbene in altra forma e appartato in altro luogo. Gli occhi lo contemplano ancora nello splendore della vita e anche quando la realtà ci presenta il suo conto noi non abbandoniamo ciò che abbiamo amato anche nella carne all’azione corrosiva del tempo coltivando una “corrispondenza d’amorosi sensi”.

Mettiamo l’illusione contro la realtà, la speranza contro lo sconforto, l’attesa contro la mortificazione. Quando una persona amata si allontana da noi sappiamo che il nostro nome non è più quello di “amata” piuttosto quello di “abbandonata” come leggiamo nel profeta Gioele ed anche noi ingaggiamo una lotta, una sorta di resistenza contro la morte significata dal “venir meno del sembiante” ben descritta dalla bellissima Sequenza pasquale che recita: “Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello”.  Stendiamo le nostre mani alla ricerca, apriamo le nostre labbra alla parola, aguzziamo gli occhi oltre la caligine del tempo, ascoltiamo la voce che sembra rompere il silenzio. Si, la morte ci rende tutti estatici e fissi in un tempo senza tempo e come Orfeo, che non resiste al richiamo d’amore, ci volgiamo anche noi indietro in una stasi che ci rallenta. “poiché tutto ciò che è manifesto, è luce.  «Risvègliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce» (Lettera agli Efesini 5:14). Ecco allora che una voce ci chiama e ci sollecita a volgere le spalle alla morte, a sentire la buona notizia che proprio la morte ci dà in quanto soltanto la morte dà ragione della nostra ansia di vita eterna.

Ecco allora che la tomba diventa la nostra sfida al “nulla eterno” e alla eternità come pienezza grazie al valore sublimante ed eternante del ricordo. Sì, come recita Qohelet, tutti gli uomini portano nel cuore il senso dell’eternità, anche quelli che non sanno da dove vengono e dove vanno, anche quelli che non sanno leggere l’azione di un Dio Creatore. La morte resta un enigma perché stronca le nostre relazioni, i nostri amori, le nostre comuni speranze, ma questo enigma chiede di essere assunto affinché lo viviamo nella verità del ricordo e nella consapevolezza che per noi poveri esseri mortali solo l’amore è più forte della morte, più tenace degli inferi. E per i credenti l’enigma diventa mistero, cioè rivelazione del destino degli uomini attraverso la fede in Gesù Cristo risorto da morte e vivente per sempre. Per i cristiani non si tratta semplicemente di rammemorare o di ingaggiare una sfida tra la illusione e fede. La Chiesa, nell’accogliere questo tentativo di risposta umana alla “grande domanda” posta a ogni essere umano, innalza sulla croce la fede pasquale che canta la risurrezione di Gesù Cristo da morte. I santi per primi vanno incontro, nel nuovo viaggio di vita, ai nostri cari, li prendono per mano per ricordare a noi tutti che non ci si salva da soli e che tutti viviamo avvolti in un’unica grande comunione d’amore. Per questo ci rechiamo al cimitero: per incontrali, per farci ascoltare da loro attraverso pochi gesti, una preghiera, un mazzo di fiori, l’accensione di un lume: sono semplici manifestazioni di un amore che la morte non può sopraffare, un affetto che in questa occasione è capace di assumere anche il male che ha attraversato la vita dei propri cari e di avvolgerlo in una grande compassione abitata dal perdono dato e ricevuto.

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