Una madre icona del dolore
Ludmyla Navalnaya, vestita di nero, dal confine con il Polo artico si rivolge a Putin per riavere il cadavere del figlio, Alexey Navalny, per “seppellirlo umanamente”.
Una donna anziana, una madre che diventa icona del dolore per il figlio che da tempo gli è stato strappato da una causa più grande del suo amore e che per quella causa ha pagato con la vita.
La storia, spinta in avanti proprio dalle guerre che ne costituiscono quasi il motore, ha conosciuto il dolore delle madri orfane dei figli che continuamente si rinnova. La grande poesia, quella di Omero, ci rimanda l’immagine, questa volta di un padre, Priamo, che si reca dall’acerrimo nemico per chiedergli la restituzione del corpo del figlio Ettore del quale l’odio di Achille ha fatto scempio. Nelle parole del padre, come in quelle della madre, orfani dei propri figli, c’è la necessità dell’amore di stringere al petto il corpo anche senza vita di colui che si è tanto amato. Sempre, come in ogni tragedia, nella realtà si fronteggiano due personaggi simboli della grandezza e della miseria, della forza dell’odio e della superiorità dell’ideale e l’incontro esalta la comune condizione umana che è condizione di dolore. Anche quando il corpo del nemico giace ai piedi, anche quando la paura si è allontanata, anche un corpo inerme può mostrare tutta la debolezza di colui che apparentemente ha vinto.