Iran, una sedicenne in coma perchè non indossava il velo
Un’altra giovanissima donna iraniana, Armita Geravand di 16 anni, picchiata dalla Polizia religiosa iraniana, è in coma. Salita, come ogni giorno sulla metro di Theran per recarsi a scuola, non indossava il velo islamico, l’hijab, violando la legge che prevede debba essere indossato da tutte le donne sui mezzi pubblici.
Ad un anno dalla morte in carcere della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata anch’essa perché non indossava correttamente il velo, con sgomento ci ritroviamo a commentare un episodio che indica come la storia in Iran è ferma al Medioevo.
Il padre e la madre di Armita intervistati da una televisione nazionale, attoniti e quasi estraniati dalla realtà, hanno confermato la versione della polizia: che, cioè, la ragazza è caduta per un malore facendosi male. Naturalmente il Ministero degli Interni iraniano tace malgrado questo duro comportamento della Polizia morale la quale intimorisce ed uccide: ma i giovani e le giovani iraniane continuano a protestare contro un regime che nega le proprie responsabilità.
Questo doloroso episodio certamente non ha nulla a che vedere con i femminicidi in Italia (87 da inizio anno), ma ci racconta una verità: nel terzo millennio la donna deve ancora obbedire a regole imposte dall’esterno, deve sottomettersi all’uomo maschio che decide della sua vita come gli appartenesse, deve tacere od essere maltrattata e/o uccisa. È vero che il diritto internazionale non permette di entrare nella realtà di altri Paesi, ma è pur vero che va denunciata con forza questa ondata di odio nei confronti delle donne.
E se l’hijab, secondo la tradizione islamica, impone che i capelli vadano coperti in quanto nascendo dall’interno rappresentano la voce della donna, anche da noi la voce della donna subisce lo stesso destino quando denuncia il maschilismo ancora imperante nel nostro Paese.