Potere senza responsabilità – Intervista di Paola Di Giulio a Pietro Monsurrò, autore del libro

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Italia, a rischio analfabetizzazione e recessione

Nel suo libro “Potere senza responsabilità” (Lithos Editrice) Lei  racconta il fallimento delle classi dirigenti degli ultimi 30 anni, di una politica che insegue  l’oggi, i click…  allora quale futuro?

Negli anni ’80 divennero evidenti alcuni problemi, quali il debito, le cui radici erano precedenti. Negli anni ’90 ci accorgemmo che qualcosa non andava ma, salvo pochi interventi di emergenza, mancò la volontà di invertire la strada.

Vogliamo uscire dal vicolo cieco che abbiamo scelto?

Solo se non abbiamo paura del futuro e non ci ostiniamo a negare la realtà. La cultura italiana insegna ad aver paura di tutto ciò che potrebbe far uscire dalla crisi: abbiamo pochi laureati in materie tecnico-scientifiche, temiamo l’innovazione (TAV, TAP, OGM, nucleare, 5G), aspiriamo a politiche finanziarie e monetarie di breve respiro, consideriamo la P.A. uno stipendificio e non un fornitore di servizi, siamo contrari alla concorrenza e al mercato e diffidenti sul merito.

Uscire dalla crisi non è impossibile: altri paesi, in situazioni simili, ci sono riusciti. Al momento mancano però sia le idee che il coraggio da parte dell’elettorato e della classe dirigente. È un problema culturale.

La parola “Europportunismo” …

L’Italia è un paese finanziariamente fragile e senza prospettive di crescita. Ha bisogno dell’UE, perché questa assicura tassi di interesse bassi sul debito, ma questa relazione è malata: grazie all’UE l’Italia può evitare di fare le riforme (l’opportunità di risanare il debito grazie agli spread nulli dal 2000 al 2010 fu sprecata da Berlusconi e da Prodi in nome dei “dividendi dell’euro”). Senza l’UE la situazione peggiorerebbe ulteriormente. I partiti italiani fingono di dividersi in europeisti e anti-europeisti, ma sono tutti “euro-opportunisti”: vogliono che Bruxelles paghi le cambiali, e aiuti a perpetuare uno status quo disfunzionale. La differenza tra europeisti e anti-europeisti è che i primi preferiscono mostrare gratitudine ed entusiasmo nei confronti dell’Europa, mentre i secondi mostrano stizza e risentimento nei confronti di chi aiuta a pagare le bollette.

Lei parla di  “Popolazione italiana analfabeta funzionale” e di un analfabetismo di ritorno…

Nei test scolastici internazionali come il PISA (Programme for International Student Assessment), l’Italia è agli ultimi posti per via del basso punteggio di Sud e Isole. In Italia ci sono pochi laureati, soprattutto nelle materie tecnico-scientifiche essenziali in un’economia moderna. Gli italiani sono allergici a dati e a numeri e il metodo scientifico è per loro come Carneade per Don Abbondio. Ad esempio, nessuno nel dibattito politico pubblico fa notare che, un Paese come il nostro, ad alto debito, non può uscirne facendone di più.

 

 

In uno dei primi capitoli del libro Lei fa riferimento a disuguaglianze create dall’innovazione tecnologica. In che modo?

Cinquant’anni fa l’economia era semplice: gli operai operavano sui macchinari e costruivano una lavastoviglie dall’inizio alla fine. Ora dentro una lavatrice c’è più elettronica che in un supercomputer dell’epoca; l’informatica e le telecomunicazioni sono ubique; servono scienziati, matematici, ingegneri; occorre usare conoscenze complesse. Il valore sul mercato di chi ha competenze è oggi maggiore del valore di chi ne è privo: questo aumenta il differenziale di produttività, e quindi di reddito, tra le due categorie.

Ma mentre tutti sono in grado di prendere la licenza media, ottenere una laurea in Ingegneria richiede un talento raro, e questo contribuisce ad aumentare le disuguaglianze. L’alternativa è rifiutare l’innovazione e quindi accettare la povertà. Tenere invece bassi i redditi dei laureati disincentiva lo studio e riduce la produttività e la crescita economica: neanche questa è una soluzione!

L’innovazione è soltanto uno dei fattori che aumentano le disuguaglianze interne: altri fattori sono l’immigrazione di persone senza qualifiche professionali, le regolamentazioni che creano ostacoli a chi vuole lavorare e le politiche finanziarie che assicurano profitti a chi è “dentro il sistema” a spese di chi ne è fuori.

Lei è un fautore delle donne in politica: Merkel, Thatcher… che sono state in grado di favorire una crescita nel loro Paese…  In Italia le donne fanno ancora molta fatica e non solo in politica. Perché?

In Italia non mancano le donne in politica: ce ne sono in tutti i partiti e la donna di maggior successo, Giorgia Meloni, guida il quarto partito d’Italia.  Nessuno dei problemi del paese si risolverebbe se ci fossero più o meno donne. La Thatcher è stata un grande leader che ha trasformato la Gran Bretagna, un paese prima di lei in declino; la Merkel ha saputo amministrare un paese che già funzionava prima di lei, dopo le costose ma necessarie riforme di Schroeder.

L’ossessione odierna è dividere la società in categorie: le persone non contano più come tali, ma come “donna”, “gay”, “immigrato”, come un tempo contavano “operaio” o “capitalista”. L’uguaglianza di tutti di fronte alla legge è stata una conquista fondamentale, ma in democrazia fare leggi ad hoc per categorie specifiche è un modo per ottenere consensi a scapito della generalità del diritto, e quindi della qualità della legislazione. Un paese serio deve guardare al merito e alle competenze. È importante che nessuno venga ostacolato da discriminazioni legali o pregiudizi sociali, e se il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto, siamo vicini al secondo, anche se l’Italia è indietro, come si vede dalla bassa occupazione femminile, che è il problema reale.

Potere e politica. Il concetto di “interesse nazionale  è un’illusione e la democrazia è in crisi … Occorre imparare a prendere decisioni collettive…”. I nostri politici sono in grado di farlo ancora?

La classe dirigente di questo Paese è un disastro. Che siano politici, intellettuali, giornalisti, raramente il dibattito pone l’attenzione sui problemi, fornisce analisi e propone soluzioni: mancano gli strumenti intellettuali per capire cosa occorra fare. Se negli altri paesi finanziano poli per la ricerca scientifica – la competenza tecnologica è la base di un’economia avanzata – noi preferiamo Bonus Nonni, Quota 100, Reddito di Cittadinanza, o salvare un’azienda irriformabile come Alitalia. L’Italia è una repubblica basata sul voto di scambio a spese del futuro. L’idea di “interesse nazionale” serve a ricordare che la classe politica dovrebbe rappresentare i cittadini. Una fazione – che chiamo “cosmopolitismo” – rifiuta il concetto, fornendo la giustificazione del tradimento della rappresentanza democratica da parte delle élite. E l’altra – il “sovranismo” – si illude invece di perseguirlo perpetuando le politiche che hanno portato al declino. L’idea di “interesse nazionale” è fondamentale per allineare gli interessi di governanti e governati e senza questa la politica degenera nel perseguimento del “particulare” di ciascuno: purtroppo siamo culturalmente inadeguati a concettualizzarlo e perseguirlo.