del silenzio che circonda il tuo essere non si può più tacere
Si, ci siamo abituati, assuefatti, noiosamente distratti sugli eventi che impegnano la storia dei nostri tormentati giorni. I morti non fanno più notizia, sono quasi noiosi nella loro ovvia immobilità: numeri stampati sulla carta dei giornali destinati al macero. L’Ucraina è lontana, ancor di più Israele e, quella che abbiamo cominciato a conoscere, la striscia di Gaza.
I telegiornali ci raccontano di battaglie che infuriano, di droni che colpiscono, di bombe sganciate su un cielo dove un tempo forse si alzavano i palloncini dei bambini che in quel cielo lontano collocavano i loro sogni.
I nostri occhi orfani di lacrime seguono le minuscole figurine di bimbi con le mani alzate per ricevere il cibo che solerti soccorritori scaricano da camion che, prima di arrivare nella dolorosa striscia, hanno dovuto sostare giorni ai valichi perché chiusi.
Le macerie della distruzione sono diventate le fosse, tante, dove forse mai la pietà di sopravvissuti potrà pregare. Dal cuore dell’Europa si innalza il fumo grigio dall’odore acre della distruzione e, mentre in Russia sono i giorni del trionfo del sempre verde Zar, in Oriente si celebra il rito di un giudizio universale perché, sia da una parte che dall’altra, i tamburi di guerra ritmano il verso di “ora o mai più”. E vale per Benjamin Netanyahu che per Hamas.
Uomo del nostro tempo, da quando l’invito alla pace è diventato sinonimo di debolezza; da quando, nell’assordante caos che ci circonda, ci siamo assuefatti anche a quello generato dalla guerra; da quando la sinfonia poliforme dei diversi linguaggi è divenuta babelica incomunicabilità?
Uomo del nostro tempo perché hai dato l’addio alla verità, indifferente quasi a se rassegnarsi ad essere o se restare, quanto a ciò che è essenziale, cieco?
Uomo dl nostro tempo: del silenzio che circonda il tuo essere non si può più tacere.
Allora: uomo del nostro tempo sai già la risposta. Essa è nel dare senso, nel consolare, nel riconciliare, nel riscattare. Nel salvare.
Uomo del mio tempo (Salvatore Quasimodo)
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
Quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.