Sono otto i quesiti referendari ai quali la Corte Costituzionale ha dovuto decidere se dare o no via libera, alcuni di quali riguardano riforme in Parlamento che sono terreno di scontro tra i partiti di maggioranza. Sei dei quesiti referendari riguardano l’ordinamento giudiziario, due rigurdano l’eutanasia e la coltivazione della cannabis.
Giustizia
Il Regio Decreto n.12 del 30 Gennaio1941 definiva lo schema dell’ordinamento giudiziario, da allora si sono susseguiti vari interventi normativi volti a modificarlo, anche numerosi dibattiti nella politica nazionale e nell’opinione pubblica sugli aspetti critici del sistema della giustizia, in particolare sulla struttura e sul funzionamento dei vari organi dell’ordinamento giudiziario. La Costituzione con l’art.104 definisce la natura giuridica e la struttura dell’attuale ordine giudiziario.
Nel mese di giugno del 2021 due forze politiche: la lega e il partito radicale hanno depositato in Corte di Cassazione dei quesiti referendari sui temi più divisivi della riforma che veniva portata avanti nel frattempo dalla ministra della giustizia Cartabia. La Corte di Cassazione ha la funzione di accertare la legittimità dei referendum abrogativi e di controllare il procedimento elettorale, la Corte Costituzionale giudica sull’ammissibilità degli stessi alla procedura elettorale da parte dei cittadini. Le sue pronunzie sono vincolate da una norma, l’art. 75 della Costituzione, e hanno forma di sentenza non di legge, quindi ogni valutazione politica rimane estranea all’oggetto del giudizio, altrimenti rischierebbe di inquinarlo.
I quesiti : quali sono i punti oggetto di referendum.
I quesiti referendari presentati alla Corte di Cassazione sono sei e vanno a toccare punti essenziali dell’ordinamento giudiziario.
*Il primo quesito riguarda la riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. Il Consiglio è un organo introdotto in Italia durante il periodo monarchico, fu nominato per la prima volta all’art. 4 della Legge n. 511 del 1907 che lo istituì presso il Ministero della Giustizia, sostanzialmente come organo consultivo e amministrativo per le nomine di alcune cariche della magistratura, oggi il CSM è l’organo di autogoverno della stessa e come tale si occupa di tutte le questioni giurisdizionali, assicurando l’indipendenza e l’autonomia della categoria. La funzione del Consiglio Superiore della Magistratura, previsto dagli art. 101 e 110 della Costituzione è in sostanza quella di governare la Magistratura ordinaria, sia penale che civile. In pratica questo organo controlla, gestisce e predispone le assunzioni, le assegnazioni, i conferimenti e le promozioni dei magistrati e provvede anche ad applicare le sanzioni disciplinari.
Il quesito vuole in primis modificare l’aspetto legato alla candidatura e alla nomina dei magistrati che fanno parte del CSM. In particolare l’obiettivo è quello di abrogare l’obbligo per un magistrato che voglia essere eletto di trovare da 25 a 50 firme per presentare la candidatura. In particolare l’attuale sistema impone a coloro che si vogliono candidare di appartenere ad una corrente ed essere il più delle volte ad esse iscritti.
*Il secondo quesito concerne la responsabilità dei magistrati. Oggi la responsabilità civile del giudice è regolata dalla L. n. 117 del 1988 (legge Vassalli), poi modificata dalla L. n. 18 del 2015, la quale ha cercato di coniugare la responsabilità civile dei giudici con la tutela della loro indipendenza, in questo sistema, non sussiste una responsabilità diretta del giudice, bensì dello Stato. Questo significa che se un soggetto ha subito un danno, può agire solo verso lo Stato, in ogni caso il risarcimento è sempre a carico dello Stato, nel senso che non si può fare causa solo al giudice. Il quesito proposto richiede invece che il giudice risponda personalmente e non tramite lo Stato per i danni causati alle parti.
Questo è l’unico referendum non ammesso dal giudizio della Corte Costituzionale. Pertanto dovrà decidere il Parlamento .
*Ragioni simili a quelle che hanno ispirato il primo quesito costituiscono il fondamento ideologico del terzo quesito relativo cioè al procedimento di valutazione dei magistrati. La valutazione, avente per oggetto soprattutto l’indipendenza, l’imparzialità l’equilibrio, nonché la capacità, impegno e diligenza,viene effettuata dal CSM sulla base di un parere motivato del Consiglio giudiziario del distretto in cui presta servizio. Tale parere non è vincolante per il CSM che formula il giudizio finale.
Anche in questo caso i promotori del referendum criticano il fatto che la procedura sia completamente interna, nel senso che a decidere siano solo soggetti appartenenti alla magistratura.
*Il quesito referendario che gode di maggior consenso tra gli avvocati, nonché quello di cui si discute da più tempo è il quarto: concernente la separazione delle carriere dei magistrati. Più che di separazione delle carriere dei magistrati sarebbe corretto parlare di una separazione delle funzioni: quella di giudice e quella di pubblico ministero. L’obiettivo del quesito referendario è cancellare del tutto la possibilità di passare da una funzione all’altra nel corso di una carriera. Oggi questo è possibile quattro volte, ma già con la riforma Cartabia i passaggi diventano solo due. Ciononostante l’esame di magistratura è unico, come lo è l’ordine giudiziario e chi lo supera può scegliere di diventare pubblico ministero o magistrato giudicante e nel corso della carriera può passare da uno all’altro. Ciò è visto come un limite intollerabile al principio del giusto processo.
*Il penultimo quesito riguarda la custodia cautelare, esso interviene sui presupposti della carcerazione preventiva stabiliti dall’art. 274 del Codice di Procedura Penale L’articolo fissa tre motivi che consentono al pubblico ministero, dopo la conferma del Gip (Giudice dell’istruzione preliminare) di tenere in carcere il presunto autore di un reato. Innanzitutto il pericolo di fuga dell’arrestato, la possibilità che possa inquinare le prove e che possa reiterare il reato. Dei tre presupposti, se il referendum dovesse passare resterebbe solo il pericolo di fuga. La custodia cautelare non potrà essere confermata, per i reati puniti nel massimo con 5 anni e neppure per il finanziamento pubblico dei partiti. Secondo i promotori le misure cautelari sono uno strumento di emergenza che è stato trasformato in una forma anticipata della pena, il che rappresenterebbe una violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
*Infine l’ultimo quesito proposto mira all’abrogazione di un intero provvedimento normativo il DLGsn.235 del 2012, decreto Severino (dal nome della ministra della Giustizia) .Sotto il governo Monti, nella legge anticorruzione firmata dal guardasigilli Severino, fu approvato il decreto sull’incandidabilità e decadenza su chi ha una condanna che supera i 2 anni. La regola vale per candidature al Parlamento italiano ed europeo e per i ruoli di governo, nonché per una parte di reati per gli amministratori locali che però vengono sospesi dalla carica anche dopo la sentenza di primo grado, norma da sempre contestata. La Corte Costituzionale, in due sentenze firmate dall’attuale vicepresidente Daria De Pretis, ha confermato la piena costituzionalità della legge Severino.
I due quesiti non ammessi: coltivare la cannabis e l’eutanasia
Il primo, promosso dall’associazione Coscioni, dai radicali, e da Meglio legale, voleva cancellare il reato di coltivazione della cannabis. Di conseguenza sopprimeva le pene detentive.
Il secondo sempre promosso dall’associazione Luca Coscioni proponeva di ritagliare l’articolo 579 del codice penale dedicato al fine vita. Il quesito voleva abrogare le parti che puniscono:” chi cagiona la morte di un uomo con il suo consenso”, rimanevano invariate le pene previste nello stesso articolo nei casi in cui era provocata la morte di un minore o di un infermo di mente.
La Corte Costituzionale convocata per dichiarare l’ammissibilità al voto di questi ultimi due quesiti ha cancellato con sentenza la loro effettuazione.
La sentenza della Corte ha acceso molti commenti, perché, come si è detto, sono stati cancellati proprio quei quesiti che avevano acceso la speranza di un avanzamento dell’Italia sul piano dei diritti, ma le regole democratiche sono queste e bisogna accettarle. E’ la Costituzione ad affidare alla Consulta il giudizio di legittimità.
Al di là delle discussioni giuridiche e tecniche sull’ammissibilità del quesito sull’omicidio del consenziente e dell’altro sulla cannabis, che secondo la Corte Costituzionale avrebbe invece depenalizzato la coltivazione di papaveri da oppio e coca, resta il messaggio politico. A questo punto è il Parlamento a dover intervenire e non può più sottrarsi al diritto-dovere di dare una risposta sui cosiddetti temi di “biopolitica” ai cittadini.
Vi sono delle proposte di legge in materia pendenti in Parlamento, il luogo, come ha detto il Presidente Mattarella nel suo discorso di re-inserimento, “dove la politica riconosce, valorizza e immette nelle Istituzioni ciò che di vivo emerge dalla società civile”.
Quel che è certo che le scelte della Corte Costituzionale resteranno nella memoria del Paese per un’altra ragione: l’aver ammesso cinque dei sei referendum sulla giustizia.
Con la sentenza si sottolinea ciò che non va nel sistema giudiziario e attende di essere corretto dopo anni di ritardi. Le decisioni della Corte sono prese in base ad un esame tecnico giuridico delle questioni, all’interno dei margini costituzionali. Tuttavia esiste qualcosa che si definisce lo “spirito dei tempi”, ossia il mutare del senso comune a proposito di certi aspetti della vita nazionale. E’ la ragione per cui alcune riforme considerate in passato non prioritarie, diventano urgenti. Sotto questo profilo, la Corte Suprema può e vuole forse contribuire a modernizzare il Paese.