Uno studio della Banca d’Italia, apparso su Io Donna, supplemento del Corriere della Sera il 23 agosto 2024, mostra che le dimissioni delle neo madri aumentano il precariato femminile: il 45% delle donne che si dimettono dopo la nascita del primo figlio fatica a trovare un lavoro stabile e questa decisione forzata, non solo colpisce le neo madri, ma contribuisce anche a un aumento generale del precariato femminile. I dati sono allarmanti: il 20% delle donne con un figlio piccolo lascia il lavoro, una scelta che le spinge spesso verso contratti a termine e lavori meno sicuri. L’analisi evidenzia che, mentre il tasso di occupazione femminile in Italia è tra i più bassi d’Europa, il fenomeno delle dimissioni dopo la maternità è particolarmente elevato. Il 20% delle donne con figli piccoli lascia il lavoro a causa della mancanza di supporto adeguato, sia in termini di welfare sia di politiche aziendali family-friendly. Questa situazione non è solo un problema per le singole lavoratrici, ma per l’intera economia. La perdita di forza lavoro femminile e la conseguente diminuzione della diversità in ambito lavorativo limitano la crescita economica e l’innovazione. Lo studio della Banca d’Italia sollecita una riflessione urgente sulle politiche italiane di supporto alle famiglie e alle donne nel mercato del lavoro. Per ridurre il precariato femminile e favorire una maggiore partecipazione delle donne, è necessario implementare politiche di welfare più inclusive e promuovere una cultura aziendale che valorizzi la diversità e la stabilità. La condizione lavorativa delle donne riflette quella dei nostri giovani e allora chiediamoci: con che cuore e testa possiamo accettare che i nostri giovani (e smettiamola con i «bamboccioni»), siano privati anche della sola speranza di futuro? Nonostante le lauree e i master all’estero, la loro vita sembra segnata irrimediabilmente dalla precarietà. Altro che meritocrazia. E non vale il discorso che sono pigri e viziati. I numeri impietosi interrogano sulla credibilità della politica nel nostro Paese superando gli schematismi partitici-ideologici che la fanno da padroni nel dibattito nostrano influenzandolo, sviando l’attenzione dalle cose serie che sottostanno. Vorremmo, perché ci crediamo, che la politica potesse essere definita come invocava già la Arendt “buona politica”.
Il precariato evoca, in una sorta di sospensione temporale onirica, riguardo alla nascita di un figlio che si accompagna con i migliori auspici, coltivati dall’amore di una madre che ricorda quello di un’altra madre che, in di una notte di un freddo dicembre di tre millenni fa, accolse il figlio di Dio. Il “Dio che in mezzo a noi” e il “Dio che salva” è ancora atteso da una umanità che non è redenta se, malgrado l’orgogliosa rivendicazione delle proprie possibilità, è scettica su quella sola certezza che le avvalora tutte: tutto è possibile all’uomo soltanto che accolga la presenza di Dio nel mondo. Non come semplice attesa di quello che verrà, ma attitudine a realizzare ciò che è affidato alle nostre capacità di uomini e cioè la costruzione di un mondo migliore ove migliore significa “umano”, capace di rispondere alle attese che sempre abitano nel cuore dell’uomo. Uno shalom, pace, che questa realtà mondana dovrebbe già qui ed ora, preannunciare.
Allora in questo dicembre 2024 vogliamo riflette sul futuro dei nostri figli in un mondo che sembra loro ostile, vogliamo considerare la condizione dei giovani nel nostro Paese ai quali, per congiuntura mondiale, temporale e anche tutta nostra, è sottratta la possibilità di allungare il pensiero anche soltanto oltre la precarietà dell’oggi. E’ vero: il tempo di per se stesso è “precario” e la condizione umana è essa stessa di “sospensione ed attesa “ (“Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”) ma quando la costruzione sociale, quando la politica, quando l’economia, quando la conoscenza, quando la cultura come acquisizione di sapere e capacità di guardare oltre, vivono anch’esse la condizione di precarietà, è segno che l’intelligenza umana ha una difficoltà oggettiva; significa che la volontà, intesa come risorsa che ci fa guardare oltre l’immediato, è appiattita sull’inevitabile; indica che il cuore non pulsa più all’unisono con la storia degli uomini.
Se la secolarizzazione significa appiattimento verso il basso, come se la terra volesse oscurare il cielo, individualismo esasperato, l’egoismo di pensare ciascuno per sé, la frammentazione del legame sociale, la condizione consegnata in eredità come destino ai nostri giovani, la secolarizzazione è contro di noi. E non vale richiamare l’art. 1 della Costituzione, non basta ricordare che il lavoro, il diritto al lavoro, fonda tutti gli altri diritti compreso quello ad essere cittadini a pieno titolo del Paese che si abita. Occorre ricordare che la Patria non è, come diceva don Abbondio, il luogo dove si sta bene, ma un sentimento di appartenenza che unisce le individualità in un destino comune. La politica, con la P maiuscola, non ha dato buona prova di sè. Le impostazioni ideologiche che si dicono superate permangono come rigidità di pensiero che blocca l’azione sia a destra che a sinistra; sia che si chiamino politiche liberali, sia che si chiamino politiche di sinistra o, oggi, anche di riformismo centrista. Slogans, ancora parole in libertà perché la vera politica, la politica bella e buona, la politica onesta, non inganna, non illude ma, nel contempo, non lascia per strada i sogni e le speranze di chi a lei si affida. Se, come sosteneva Garcia Lorca, “il sogno è la lunga ombra del vero”, i sogni parlano della possibilità di un diverso futuro; dicono che cambiare si deve, che costruire un mondo che non lascia nessuno lungo la via degli sconfitti, come l’uomo che scendeva verso Gerico aggredito dai briganti di futuro. Questo che nel presente abbiamo fatto ai nostri figli, e che include nella categoria dei “Ladri di futuro”, per dirla con il titolo del film di Enzo De Caro, è un torto grande, una offesa enorme, forse un peccato, peccato sociale, del quale rispondere. Ma è ancora Natale, un Natale come gli altri ma che vogliamo sia Natale come nuovo cominciamento.
Buon Natale 2024