Centro Italiano Femminile

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PRESIDENZA NAZIONALE

Consultazione referendario 8/9 giugno 2025. Astensione? No grazie

23 Maggio 2025
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L’esercizio del voto delle donne, paradossalmente conquistato dopo la guerra e grazie all’apporto delle stesse alla Resistenza, è messo in discussione dall’invito all’astensionismo a proposito dei referendum fissati per l’8 e il 9 giugno p. v. Infatti, si riaccende la disputa sulla legittimità dell’appello per l’astensione pronunciato da alcuni esponenti di partito e delle istituzioni a proposito del prossimo appuntamento elettorale. Il loro invito mira a far fallire la deliberazione referendaria qualora (art.lo 75 Cost.) non partecipino al voto la maggioranza degli aventi diritto.  Anziché schierarsi per il “no”, i sostenitori della line a astensionistica promettono una vera campagna elettorale  soffiando sul fuoco della “indifferenza” che mal si concilia con lo spirito della Costituzione e con i meccanismi della democrazia i quali, piuttosto, si fondano sulla discussione, confronto, conoscenza, deliberazione e, come nel caso dei referendum, con l’esercizio diretto della democrazia quando i rappresentanti eletti si dimostrino lenti o incapaci di promuovere leggi che rispondono al sentire popolare.

Quando i “padri costituenti” decisero di inserire il referendum abrogativo tra gli strumenti deliberativi a disposizione del corpo elettorale, pensavano di aumentare il tasso di democrazia in una forma di Stato che si caratterizzava, comunque, nel senso della centralità della rappresentanza politica. In particolare, individuarono le figure dei referendum “di stimolo” e “di rottura”, aventi le finalità precipue di imprimere una spinta dinamica ad un procedimento legislativo in corso in Parlamento se ritenuto troppo lento e inefficace, oppure far saltare accordi e compromessi politici ritenuti inaccettabili alla luce di alcuni princìpi (Pizzorusso, 1978).

Il referendum è dunque un istituto di democrazia diretta che il nostro ordinamento giuridico mette a disposizione per più cose: c’è quello abrogativo, previsto dall’articolo 75 della Costituzione per cancellare in tutto o in parte una legge o un atto avente valore di legge (strumento abbastanza usato e forse abusato: 72 volte) grazie soprattutto alla prassi politica radicale; c’è il referendum “istituzionale” che nel lontano ‘46 portò gli italiani a preferire la Repubblica alla monarchia (adoperato, ovviamente, solo in quella occasione); c’è stato pure un referendum d’indirizzo, nel 1989, per conferire al Parlamento europeo il mandato costituente, dichiarando, con l’88% dei sì (e l’80% degli aventi diritto recatisi alle urne), la nostra incrollabile fede europeista (tempi lontani anni-luce, sembrerebbe); c’è, inoltre, il referendum costituzionale, previsto dall’articolo 138 della Costituzione, quello che si potrebbe tenere per confermare o bocciare la riforma costituzionale  nota come “premierato” .

Ce lo aspetteremmo dai rappresentanti delle istituzioni che, giunti al potere grazie all’esercizio del voto, quando non fa loro comodo invitano ad astenersi dall’esercizio del diritto democratico dello stesso?

Le 78 consultazioni tenutesi fin qui, a prescindere dalla specifica natura dello strumento di democrazia diretta, raccontano della consonanza tra popolo e partiti politici di riferimento. Questo spiega perché l’obiettivo del governo, approfittando delle percentuali del loro consenso, è quello della bassa partecipazione al voto caldeggiando un costume – quello dell’astensionismo – che sta diventando una vera piaga per la nostra democrazia. Tant’è che si nega al corpo elettorale la conoscenza di due elementi che vanno considerati nel caso delle consultazioni referendarie: la possibilità di esprimere un “no” ad un quesito non condiviso indicando comunque alla politica un possibile successivo percorso legislativo anche in base, e questo è il secondo punto, al numero di coloro che nell’urna elettorale fanno pesare la loro volontà.

I 5 referendum abrogativi sulla cittadinanza e sul lavoro verificheranno la volontà degli elettori italiani di eliminare (abrogare) del tutto o in parte una legge di riferimento e va da sé che la politica non potrà non tener conto della volontà comunque espressa superando l’inerzia o la non volontà di affrontare gli elementi oggetto di referendum.

In ultimo ricordiamo  che il fallimento del referendum non è mai un fatto neutro e può offrire alla politica delle opzioni che ne qualificano l’operato : 1) se si raggiunge il quorum e prevalgono i “no”, la disposizione sottoposta al referendum  resta vigente per di più legittimata dal consenso popolare; 2)se il quorum non è raggiunto il referendum non è valido e il quesito decade ma il numero dei votanti sebbene non corrisponda al quorum richiesto, obbliga la politica a tenere conto di quanti si sono espressi; 3) se   invece  prevalgono i “si”, il parlamento è tenuto ad intervenire in materia.

I REFERENDUM nella nostra Costituzione: un po’ di storia

La storia del nostro Paese inizia con un referendum. Era il 2 giugno del 1946 e i cittadini italiani furono chiamati a scegliere fra monarchia e repubblica. Da lì il rapporto del nostro paese con questo strumento si è evoluto e ha attraversato diverse fasi. Il referendum rientra, insieme all’iniziativa legislativa popolare e alla petizione, tra gli istituti di partecipazione diretta dei cittadini alla democrazia. La discussione sul referendum abrogativo fu quella che impegnò più a lungo i costituenti, suscitando un approfondito confronto, dal quale emergono molte considerazioni sul ruolo che in generale avrebbe dovuto avere l’intervento diretto del popolo nel nostro ordinamento.

Merita di essere analizzata separatamente la posizione assunta da Costantino Mortati sugli istituti di democrazia diretta, perché egli mostrò di essere il più determinato fautore di un largo intervento del popolo nel complessivo sistema istituzionale, e alcune sue posizioni espresse durante la discussione sul referendum legislativo. Come relatore della Seconda Sottocommissione, Costantino Mortati, mise in luce il ruolo del popolo quale organo del potere legislativo, e l’esigenza di passare dalla più limitata facoltà di scelta dei rappresentanti, alla più ampia ed attiva partecipazione politica, nella quale faceva rientrare anche il referendum. Questo istituto, inserendosi in un sistema parlamentare, avrebbe dovuto svolgere una funzione di equilibrio fra i poteri dello Stato, di educazione politica del popolo, e di contrappeso al potere dei partiti. Lo stesso Mortati era però ben consapevole dei pericoli insiti in ogni consultazione popolare, che “introduce una disarmonia e disturba il potere legislativo”, e che quindi doveva essere accompagnata da meccanismi in grado di contenerne gli effetti entro limiti accettabili. Ispirandosi soprattutto all’esperienza costituzionale di Weimar, aveva proposto un articolato sistema in cui si combinavano diversi istituti di democrazia diretta. In particolare, aveva previsto un referendum legislativo indetto dal Capo dello Stato in caso di conflitto fra i due rami del Parlamento (quando una Camera si fosse espressa positivamente su una legge che l’altra aveva respinto), o fra il Governo ed il Parlamento (per approvare un disegno di legge governativo che aveva incontrato il voto contrario degli organi legislativi, o per sospendere una legge approvata dalle Camere). Il popolo avrebbe invece avuto l’iniziativa per referendum miranti ad abrogare leggi in vigore, ad introdurne di nuove, o a impedire l’entrata in vigore di norme approvate dal Parlamento ma non ancora efficaci.

Art. 75 della costituzione italiana – È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

 

Referendum una prova per la nostra democrazia

 

I REFERENDUM ABROGATIVI 8/ 9 Giugno 2025

Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani aventi diritto al voto sono chiamati a partecipare ai referendum popolari abrogativi (articolo 75 della Costituzione) su 5 quesiti in materia di disciplina del lavoro e cittadinanza. I seggi saranno aperti domenica 8 giugno dalle ore 7 alle ore 23, e lunedì 9 giugno dalle ore 7 alle ore 15. I referendum, indetti con decreti del Presidente della Repubblica 25 marzo 2025 (Gazzetta ufficiale, Serie Generale, n.75 del 31 marzo 2025), sono:

  • «Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»
  • «Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»
  • «Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
  • «Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»

 

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