Un commento a caldo sulle elezioni del 20/21 settembre scorso - Roma, 22 settembre 2020
Azzardiamo un commento a caldo dei risultati delle elezioni che hanno coinvolto 7 regioni italiane in questo scorcio di mese di settembre nella consapevolezza che, se si guarda soltanto ai numeri, essi non garantiscono l’oggettività, piuttosto possono prestarsi a letture di parte. Per questo ci fermiamo ad affermare che nella competizione del 20/21 settembre u.s., la partita è finita 3 a 3 non essendo ancora giunti i risultati della Valle d’Aosta: Campania, Toscana, Puglia ancora al centrosinistra, Veneto e Liguria al centrodestra che guadagna anche le Marche.
Così, con un conto soltanto numerico, il centrodestra acquisisce una regione tradizionalmente del centrosinistra (le Marche), ma va anche detto che perde la sfida, su cui aveva giocato tutto, della conquista della Toscana regione considerata culla della cultura di sinistra.
E ci fermiamo qui perché quello che ci interessa è guardare oltre e dentro i risultati.
Essi in controluce mostrano la variabilità regionale di partenza che ha dovuto fare i conti, oltre che con la differenziazione territoriale tipica dei territori nostrani, anche con la dinamica innescata sia dalla crisi economica del 2008 – mai del tutto esaurita – e con i processi di resistenza allo choc della Covid nonchè alla difficoltà della ripartenza.
Quello che vogliamo dire è che anche se in un piccolo campione nazionale, 7 regioni su 20, si sono confrontate tante questioni territoriali che vedono contrapposte le regioni del Nord a quelle del Sud d’Italia. I risultati danno conto, infatti, della difficoltà a compattare l’interesse nazionale e a ridurre i divari territoriali. Ne dà ragione la vittoria di Zaia nel Veneto, governatore uscente che si è presentato con una lista personale, e i due governatori della Campania e della Puglia, considerati a torto o a ragione, “politici di petto”, della politica di sinistra, mentre in Liguria ha trionfato la nuova formazione di Toti pur se all’interno del centrodestra.
Composizione e scomposizione delle formule politiche e delle geografie territoriali che insidiano le tradizionali famiglie politiche, mentre emerge all’interno del centrodestra la forza fondata e guidata da una donna, Giorgia Meloni che, a capo di Fratelli d’Italia, fa pesare la propria influenza tra i due giganti ormai sfiancati di Forza Italia e della Lega salviniana.
Che dire del Movimento 5 stelle? Se non avesse puntato tutto sul referendum confermativo costituzionale del taglio dei parlamentari, oggi dovremmo soltanto registrare la sua débacle dovuta soprattutto all’abbandono del Sud che non si riconosce più nel populismo pentastellato.
Il successo del Sì al referendum (quasi il 70%) parla due lingue diverse: da una parte dichiara che il risparmio (molto poco a dire la verità) può giovare alla democrazia, dall’altra però parla anche di una prova che dovranno affrontare: quella di costruire un nesso tra un sistema proporzionale elettorale e la governabilità del Paese. Del resto il risultato referendario era scontato non solo perchè l’antipolitica è diventata il terreno di cultura di tanti sproloqui politologici ma soprattutto perché il voto di tutte le forze politiche in quattro passaggi parlamentari riguardante la diminuzione del numero delle due Camere, per la prima volta ha fatto sì che l’opinione proprio della casta che si voleva indebolire coincidesse con il parere del popolo che doveva opporsi proprio alla casta.
Ci fermiamo qui perché ora la parola passa alle forze politiche che sostengono il governo e il cui peso è cambiato, ai presidenti di regioni vecchi e nuovi e al Parlamento attuale che deve predisporre i piani per il next generation EU.