Percorso di interruzione volontaria farmacologica della gravidanza

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Una riflessione sull’aborto farmacologico che mette in pericolo la salute della donna

PREMESSA E SINTESI DI CONTESTO

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha aggiornato dopo dieci anni le linee guida sulla pillola abortiva Ru486 acquisito il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità, espresso nella seduta straordinaria del 4 agosto 2020 e quello della Determina n. 865 del 12 agosto 2020 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (“Modifica delle modalità di impiego del Medicinale Mifegyne a base di mifepristone Ru486).

La circolare del Ministero della Sanità del 12 agosto 2020, rivolta a tutti gli assessorati alla Sanità Regionali nonché a quelli delle Provincie autonome di Trento e di Bolzano  annulla  l’obbligo di ricovero dall’assunzione della pillola RU486 fino alla fine del percorso assistenziale, allunga il periodo in cui si può ricorrere al farmaco -fino alla nona settimana di gravidanza. Il testo, leggiamo, tiene conto della “raccomandazione formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in ordine alla somministrazione di mifepristone e misoprostolo per la donna fino alla 9° settimana di gestazione, delle più aggiornate evidenze scientifiche sull’uso di tali farmaci, nonché del ricorso nella gran parte degli altri Paesi Europei al metodo farmacologico di interruzione della gravidanza in regime di day hospital e ambulatoriale”.

Le “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza  arrivano a seguito del parere chiesto all’Istituto Superiore di Sanità dopo l’ondata di proteste per il provvedimento approvato a giugno della giunta leghista in Umbria, che ha deciso lo stop all’aborto farmacologico in day-hospital revocando una delibera regionale del 2019. Le attuali direttive, smontano quelle approvate dieci anni fa dal Ministero che consigliavano tre giorni di ricovero per la paziente che assumeva la pillola abortiva, lasciava la scelta alle Regioni che, nella maggior parte dei casi, optarono per la somministrazione ambulatoriale, dunque senza ricovero. Queste linee indicano la continuità di un percorso ed insieme ne esplicitano la filosofia: la farmacologizzazione

dell’interruzione della gravidanza.

In sintesi questo il contenuto che va però analizzato da un punto di vista formale e sostanziale

 

ASPETTO FORMALE:

– la circolare emanata dall’ Ufficio Affari Generali della Prevenzione del Ministero della Salute, in quanto tale non ha la forza di legge: ergo non è vincolante per le Regioni che in tema di tutela della salute detengono la competenza legislativa;

– la legge 194/78 rimane a tutt’oggi l’unico riferimento legislativo in essere;

– la legge 194/78 predispone un sistema di accertamento preventivo delle situazioni legittimatrici dell’interruzione di gravidanza (artt. 4/5/6/7/8): fuori da quanto stabilito dalla legge, l’aborto è e resta un reato punibile;

-perché il dettato della legge possa essere abolito, superato, ampliato occorre che il Parlamento discuta, si confronti, valuti, soppesi i diversi interessi in campo: non può essere un atto ministeriale a modificare una legge e a derogare a quello che altrimenti resta, sempre per la legge, un reato;

-sempre la legge 194/78 (che non a caso reca il titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”) opera una scelta di campo non a favore del “diritto di aborto” bensì a favore dei valori della maternità, della vita, della procreazione responsabile e fa espresso divieto di usare l’interruzione della gravidanza come forma contraccettiva. Inoltre determina le condizioni per le quali l’interruzione è considerata scelta possibile ma sempre tragica (1^ comma art.1 legge 194/78 che consacra quanto definito dalla legge n.405/1975 istitutiva dei Consultori familiari nonché nell’art. 31 della nostra Costituzione);

– con il percorso di interruzione volontaria farmacologica invece, si elimina anche il problema dell’obiezione di coscienza prevista dall’art 9/194 e che, fino a qualche tempo fa- contestata da quanti ritenevano la legge 194 troppo restrittiva rispetto al tema della libertà del solo “soggetto donna”-, era ritenuta la causa principale delle lungaggini ospedaliere. Ricordiamo che l’obiezione di coscienza è un caposaldo della Costituzione italiana: essa altro non è che il rifiuto a compiere un atto che nella sua radice cozza con l’ordinamento costituzionale (artt. 9, 13, 19, 21). Per questo la disobbedienza alla legge, si concretizza in un atto di rispetto della legge fondamentale dello Stato. Infatti quando il legislatore ha previsto questa norma nell’articolato e nel compimento della 194, ha tenuto conto del carattere di assoluta eccezionalità della norma nel nostro ordinamento per il quale la tutela della vita umana, anche quella del concepito, ha protezione costituzionale (artt. 2, 30, 31, 32, Cost., nonché sentenza n. 27 del 18/II/1975 Cor. Cost.);

– nella circolare di cui, al IV capoverso leggiamo: “tenuto conto […] del ricorso nella gran parte degli altri Paesi Europei al metodo farmacologico di interruzione della gravidanza in regime di day hospital e ambulatoriale”. Questo inciso finge di ignorare che sono le stesse direttive europee a stabilire che per aborto e contraccezione prevale la legislazione nazionale su quella europea. Invocare la madre- matrigna quale è l’Europa a seconda delle convenienze, è una mistificazione.

 

ASPETTO SOSTANZIALE:

– riguardo al ricorso all’aborto farmacologico tramite la Ru486, visto come alternativa all’intervento chirurgico, l’attuale circolare opera due slittamenti rispetto a quanto previsto dalla legge 194 che, ripetiamo, è tuttora l’unico riferimento valido per il ricorso all’aborto. Infatti la circolare non soltanto allunga i tempi del ricorso all’uso della Ru486 (da 7 a 9 settimane), ma esso è consentito senza ospedalizzazione al contrario di quanto era scritto nella circolare di dieci anni fa, tanto che, quasi ad avvertire che tale soluzione non è senza rischi per la salute della donna, il farmaco non era disponibile in farmacia.  Questo in ossequio ai limiti posti dall’art. 8 della legge 194 che non ne acconsentono un diverso utilizzo, giacché la legge del 1978 muove dalla necessità che la donna durante l’intero procedimento abortivo sia assistita da un medico del servizio ostetrico-ginecologico. I sostenitori del ricorso al farmaco come tecnica non invasiva, si appellano all’art 15 della legge 194 che fa obbligo alle Regioni di un costante aggiornamento “sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l’interruzione della gravidanza”: come dire che ignorano la filosofia della legge 194 o meglio, scelgono questa strada per superarla;

– va anche sottolineato che per questa via si vuole «escludere o ridurre radicalmente il ruolo delle Regioni» piuttosto che fare in modo che il concetto dei livelli essenziali e uniformi di assistenza siano garantiti a tutela di diritti sociali. Questi sono stati messi a dura prova dalla recente esperienza del Covid che non soltanto ha rilevato le diversità del sistema sanitario da Regione a Regione, ma ha anche evidenziato la difficoltà per lo Stato centrale del coordinamento;

– le indicazioni della circolare del ministro Speranza annullano l’obbligo di ricovero dall’assunzione della pillola Ru486 fino alla fine del percorso e allungano il periodo in cui si può ricorrere al farmaco (nona settimana di gravidanza) riaprendo così il dibattito sullo sviluppo del nascituro (quando può essere detto uomo?). La dilatazione dei tempi, in realtà depone sulla banalizzazione del ricorso all’aborto: fastidio temporaneo che può essere eliminato come un mal di testa;

– anche nella presente circostanza, l’emanazione della circolare, risuona il tema della libertà della donna di disporre del proprio corpo senza se e senza ma, retaggio della dottrina del liberalismo classico che mentre difende la libertà individuale per essa reclama la garanzia della tutela sociale (il diritto all’aborto ricade all’interno dei diritti sociali);

– la circolare, sottraendo l’interruzione della gravidanza alle strutture ospedaliere, indubbiamente soccorre alle difficoltà del nostro sistema sanitario, “imballato” nella funzionalità -come di recente abbiamo potuto constatare-, e alla ristrettezza delle risorse economiche. L’alleggerimento del sistema sanitario dall’impegno di assistenza previsto dalla 194 avviene a scapito della salute della donna che nella solitudine vive il dramma del rifiuto della maternità sebbene indesiderata o impossibile, come una vergogna. La legge 194, invece, pone dei paletti all’interruzione della gravidanza e prevede che il primo limite o soglia di accessibilità sia la salute della madre

 

IN SINTESI:

la posizione del Centro Italiano Femminile e di tutto il mondo cattolico rispetto alla pratica abortiva, se considerata come un aspetto della medicina preventiva, è e non da ora, noto:  la donna non deve essere posta nella condizione di dover scegliere tra la sua vita e quella del figlio e, quando questo accade, per motivi i più svariati, che spaziano dall’economico, al sociale, al culturale, il ricorso all’aborto appare come una via di uscita unica ed obbligata: o la vita del figlio o quella della madre, piuttosto che “ la vita del figlio e quella della madre”. Ma è noto che i cattolici, sia come singoli che come associati (nel 1978 c’era ancora il Partito dei Cattolici: la DC) si spesero in ogni modo e in ogni luogo e soprattutto in Parlamento perché una legge rispettosa delle posizioni di tutti e comprovata da un referendum divenisse la strada maestra  entro la quale collocare in termini sociali, culturali, medici, la scelta dolorosa dell’aborto. Non si tratta di difendere ideologicamente un’idea astratta di libertà piuttosto quella di riconoscere  che la libertà va misurata sul campo del bilanciamento dei diritti.