Il prete buono

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Luigi Bettazzi

in ricordo di monsignor Luigi Bettazzi

Nella notte del 16 luglio us, a 99 anni, è morto monsignor Luigi Bettazzi, già vescovo di Ivrea.  Conosciuto come il “prete buono”, testimone del ‘900, ha vissuto sempre sulla frontiera del dialogo grazie al quale, ne era convinto, i problemi e i dissensi diventano possibilità di reali convergenze. Alcuni lo definirono “democratico” abusando di una categoria politica e come se, stare accanto agli studenti e agli operai in lotta (vedi quelli della Olivetti, della Lancia, del Cotonificio Vallesusa) fosse una particolarità che non appartiene al sacerdote. Erano chiamati dispregiativamente “rossi” i preti impegnati sul fronte della giustizia sociale come del resto i “rossi” erano i militanti del PCI non soltanto perché infiammati dalle passioni e dalle lotte, ma soprattutto perché anche nel mondo cattolico la rivendicazione di un pensiero critico poteva costare caro.  E sebbene il Concilio avesse dedicato al problema il decreto Presbyterorum Ordinis in cui l’obbedienza del presbitero  «responsabilis et voluntaria» –– «porta a una più matura libertà di figli di Dio», la fase post conciliare fu anche fase di rottura e di separazione che attraversò, dolorosamente, le vite di quanti, e furono tanti, all’obbedienza talvolta intesa come consegna acritica e passiva scelsero l’esercizio della carità vissuta.  Zeno Saltini, Primo Mazzolari, padre David Maria Turoldo, Camillo De Piaz, Leonardo Boff (che ebbe tanta parte nella Teologia della Liberazione), don Milani, don Enzo Mazzi, parroco dell’Isolotto di Firenze. Soltanto alcuni. Le due chiese, quella del PCI e della DC non rappresentavano soltanto le due più grandi famiglie politiche italiane che, protagoniste della Resistenza, si contendevano, elaborata la Costituzione, il governo politico del Paese. Rappresentavano fronti opposti che si richiamavano ad appartenenze diverse: la Chiesa e la ideologia marxista che aveva trovato nella Russia sovietica la sua realizzazione storica. Un partito era chiaramente dominante: la Dc. Mentre sul secondo partito, il Pci, gravava un pesante dubbio di legittimità democratica: quella che Leopoldo Elia ha chiamato la conventio ad excludendum. E sebbene sia i credenti che i non credenti si richiamassero alla giustizia sociale, ai valori della libertà, della fraternità, della pace, li separava il fossato dell’obbligo, per i militanti nel PCI, di riconoscersi nella filosofia immanentista di Marx. Il 13 luglio 1949, ad una manciata di mesi dall’Anno Santo alla metà del secolo, la Santa Sede ufficializzò il decreto di scomunica per tutti i fedeli che ritenevano di poter praticare credo cattolico e, insieme, quello comunista. A sanare la situazione ci penserà papa Giovanni XXIII. Questo il milieu nel quale incrociò la sua vita monsignor Bettazzi. Nel luglio 1976, monsignor Bettazzi, scrisse una lettera aperta indirizzata a Enrico Berlinguer, segretario del PCI: «Mi scusi questa lettera, che molti giudicheranno ingenua, e non pochi contraddittoria con la mia qualifica di vescovo. Eppure mi sembra legittimo e doveroso, per un vescovo, aprirsi al dialogo, interessandosi in qualche modo perché si realizzi la giustizia e cresca una più autentica solidarietà tra gli uomini. Il Vangelo, che il vescovo è chiamato ad annunciare, non costituisce un’alternativa, tanto meno una contrapposizione alla liberazione dell’uomo, ma ne dovrebbe costituire l’ispirazione e l’anima». Ci volle un anno perché da Botteghe Oscure partisse la risposta di Enrico Berlinguer che, insieme a fidati collaboratori, tra cui Rodano e Antonio Tatò, cercò la quadratura del cerchio chiudendo finalmente la questione sulla natura del PCI definito  nella lettera partito “non teista, non ateista e non antiteista” dove si ringraziava il vescovo per aver sollevato problemi «la cui soluzione positiva è molto importante per l’avvenire della società e dell’Italia, per una serena convivenza fra tutti i nostri concittadini, non credenti e credenti, oltre che, in particolare, per lo sviluppo di quel dialogo, per amore del quale ha pensato di rivolgersi a me, come lei dice, in quanto segretario del Partito comunista italiano». Monsignor Bettazzi, richiamando un passaggio della lettera che mesi prima aveva indirizzato a Zaccagnini, segretario della DC, aggiungeva: «Erano tutti motivi che mi suggerivano di esortare discretamente il Segretario di quel partito, non solo ad esigere una maggiore coerenza dai membri, e soprattutto dai responsabili, sul piano della competenza o dell’onestà personali, ma più ancora a impegnare il partito a dimostrarsi veramente ‘cristiano’, a mettersi quindi sul piano di una politica più aperta e più impegnata, in ordine alle esigenze della giustizia sociale e di una più effettiva uguaglianza di tutti i cittadini nei loro doveri».

Si dirà altri tempi, altra storia soprattutto in questa stagione della grande diaspora dei cattolici che, militando in partiti e schieramenti diversi, hanno perso ogni reale rappresentanza. Forse ha ragione papa Francesco quando al n. 53 della Laudato si’scrive «c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future».