Estate tempo e voglia di vacanze

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dalla Presidente Nazionale

Mai come in questo periodo e dopo quello che abbiamo trascorso, sentiamo il desiderio di evadere anche semplicemente dalle pareti del nostro quotidiano che, in quelle concrete della casa, hanno trovato la rappresentazione e non solo plastica o simbolica della “pandemia dell’anima”.

I poeti dell’Ottocento, soprattutto francesi, hanno cantato una sorta di astenia dell’anima che prende quando tutto attorno sembra essere travolto da un improvviso mutare che rompe il ritmo lento dello scorrere del tempo dei nostri giorni. Così, infatti, nella poesia Spleen, cantava Baudelaire “Quando il cielo basso e cupo pesa come un coperchio” e tutto nell’anima anela ed anche “la Speranza, vinta, piange”.

Tempo di estate dunque! Evadiamo e ci alleggeriamo anche dagli abiti pesanti in cui stavamo stretti perché costretti da una improvvisa e non voluta sosta. Sentiamo in noi la voglia di nuovi orizzonti e mentre anche i piedi sembrano seguire il ritmo dell’anima che vuole volare e i fanno più leggeri, siamo già sulla soglia per chiuderci alle spalle un inverno veramente freddo. Freddo di contatti, freddo di strette di mano, freddo anche di un semplice ciao, freddo di quell’umana cordialità che ci accompagna quando usciamo a fare la spesa ed incontriamo il vicino, il fruttivendolo, il panettiere e insieme pregustiamo e guastiamo il profumo, i profumi, che sono nell’aria. Prendiamo il nostro tempo e però non smorziamo l’entusiasmo: oltre la porta, il mondo di sempre, ma sempre nuovo ci attende.

Quante vacanze ci sono alle spalle! Quanti ricordi affiorano alla mente e si sovrappongono, si intrecciano, si raggomitolano in un inestricabile nodo come lo gnommero così bene rappresentato da E. Gadda che lo applicava alle “inopinate catastrofi” che “sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo”. Dicasi della pandemia.

Dicevamo quanti estati alle nostre spalle, più belle, o meno da ricordare, fulgide o fuggitive, luminose e terze oppure cupe come un temporale estivo quando “Le nuvole grigie e nere si urtano, si pigiano spinte dal vento, nascondono il sole, oscurano il cielo” come descrive il poeta F. Tozzi e viviamo la sospensione del cielo azzurro che intravediamo e “mentre ancora tutto gronda, scorre, scivola via” …attendevamo ed attendiamo speranzose l’arcobaleno.

Ma chi di noi non ha una estate particolare nel cuore e nella mente! Magari quella di quando, ancora bambine e non ancora adolescenti, tornavamo con i genitori nella casa dei nonni dalla quale si erano allontanati alla ricerca di una storia che speravano diversa da quella delle generazioni che, in quella terra immobile, si erano succedute! Estati assolate, quando ancora il solleone nella controra picchiava a perpendicolo e il frinire delle cicale accompagnava la pennica pomeridiana nelle stanze ove, le persiane accostate, assicuravano una penombra favorevole. O magari le prime estati trascorse al mare grazie al boom economico: le prime passeggiate a riva con l’acqua che lambiva i piedi desiderosi di affondare nella sabbia umida e le spalle e le gambe, ancora bianche in attesa di un colore che avrebbe fatto dimenticare il pallore grigio della città. Chi non ricorda quella dell’estate in cui per la prima volta abbiamo incrociato uno sguardo, un sorriso, un accenno appena mosso delle labbra che ci ha fatto piangere per il primo addio. Tante estati alle spalle, tanti incontri e tanti altri addii, altro tempo sospeso nell’attesa di quanto sarebbe potuto accadere. Poi quando il sole di agosto cominciava a declinare all’orizzonte, si tiravano fuori di nuovo le valige e quasi con frenesia si riempivano per il viaggio di ritorno. Brevi saluti, promesse cui fingevamo tutti di credere e, appena voltate le spalle, già un nuovo presente, che poi era il solito passato, ci attendeva.

Anch’io custodisco con particolare affezione un ricordo che, malgrado il trascorre del tempo, ancora molcisce il cuore. L’ultima estate da adolescente trascorsa nel paese e nella casa dei miei avi: alta, bianca, affacciata sulla vallata verde, come soltanto sono le vallate umbre, con le terrazze sporgenti a catturare il sole del mattino e del tramonto. Le vacanze estive allora duravano tre mesi trascorsi i quali ci saremmo trasferiti in città per poter proseguire, insieme alle mie sorelle, gli studi nelle scuole superiori. Il sole agostano si velava delle prime nubi lontane, il verde dei pini si stagliava ancora verso l’altro, ma cominciava a mostrare già gli aghi riarsi; dal cimitero vicino l’orologio rintoccava il trascorrere delle ore. Seduta sulla sporgenza di pietra che si anteponeva alla facciata della casa, con una cugina più adulta, contavamo il tempo che sembrava attardarsi sulle ore del meriggio. Avrei voluto che tutto trascorresse in fretta, anche se presentivo con struggente nostalgia, che questo non sarebbe più stato, che io, sebbene ritornata, avrei cantato altro tempo e raccontato altre storie. La strada sterrata che percorrevo per andare a scuola incassata tra le montagne sarebbe toccata ad altri, forse mai più avrei udito giungere da quella stessa strada la eco delle grida festanti per il giorno di maggio dedicato al patrono, avrei smesso le scarpe pesanti ed anche avrei smarrito il presentimento significato dallo sfrigolio dell’olio ove la nonna immergeva le pizzette di pane per noi più piccoli che di lì a poco ci saremmo avviati per la scuola. Sapevo che certamente sarei tornata, come in realtà è stato. Eppure il sasso bianco, la finestra sulla vallata, la strada giù nella valle, odori e profumi e schermaglie di voci, niente è stato più lo stesso. Chiudere la porta sul tempo, care amiche anche su questo tempo sospeso che abbiamo vissuto perché comunque è stato nostro, totalmente anche se inversamente.

Care amiche grazie per questo anno faticoso, grazie perché non avete perso la fiducia, grazie perché avete trovato il modo, anzi le nuove modalità, per stare insieme, grazie perché avete sostenuto la causa del Cif, grazie per il tempo di attesa e per il tempo di preparazione, grazie perché ancora siamo insieme.

Renata Natili Micheli
presidente nazionale CIF