Proposta Legge Zan

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breve intervento che richiama per sintesi il motivo del nostro No a tale legge in sintonia con quanto per bocca di Bassetti ha confermato la CEI.

La proposta di legge Zan ed altri depositata alla Camera, che prevede modifiche agli articoli 604 bis e 604 ter del Codice Penale, Libro II, Delitti contro la persona, Sez. 1 bis, Dei Delitti contro l’uguaglianza, in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia, ha determinato un acceso dibattito soprattutto a seguito della nota formulata dalla CEI, con la quale si è sottolineata già l’esistenza di adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento persecutorio in tali tematiche.
Papa Francesco già in Amoris Laetitia (n. 250) scrive con tono quasi perentorio che “Chi rifiuta gli omosessuali non ha un cuore umano” e questo per i cattolici vale, o dovrebbe valere, più di qualsiasi altra sanzione giuridica.
Ma, veniamo alla questione che più sta a cuore all’Associazione che ho l’onore di rappresentare e che può essere così sintetizzata: il dibattito ha fatto prevalere gli schieramenti rispetto allo specifico della questione.
Per chiarezza diciamo subito che in Italia più che altrove il tema delle discriminazioni fondate sull’omofobia e sulla transfobia si pone su due piani che andrebbero separati e approfonditi cioè il piano giuridico e quello sociale.
Dobbiamo ammettere che l’omotransfobia non è un’invenzione del movimento Lgbt, né una dinamica sociale irrilevante: essa attiva lacerazioni dolorose e spesso violente che devono essere affrontate e «contrastate senza mezzi termini», come sottolinea anche la CEI con il suo comunicato.
Appare però chiaro che il cuore della questione non è il contrasto sociale all’omotransfobia, ma lo statuto epistemologico dell’omosessualità e quello di un nutrito ventaglio di parafilie (tra cui appunto la bisessualità o la pulsione al mutamento – fisico o sociale – della-propria identità sessuale anatomica), non ancora formalizzati anche perché la ricerca scientifica non ha dato la sua ultima parola.
Si tratta di questioni antropologiche ancora assolutamente aperte (malgrado l’opinione contraria del movimento Lgbt) e, per questo, crediamo che il rischio di imbavagliarne ogni forma di approfondimento scientifico e dottrinale attraverso norme penali sia reale e molto pericoloso. Non si tratta solo di non porre limiti alla libertà di manifestazione del pensiero che è già un diritto costituzionale primario, o di difendere la famiglia ‘tradizionale’, ma di non porre limiti alla ricerca antropologica, per delicata che essa sia, su temi che solo da poco sono emersi alla coscienza di tutti e che richiedono ancora lunghi e seri approfondimenti.
Diverso è il discorso sul piano giuridico penale e, il diritto penale, soprattutto in Italia, non ha proprio nulla da dire.
Infatti secondo la dottrina penalistica, se è innegabile che la funzione promozionale del diritto può esprimersi in tutti i rami dello stesso, proprio nel perseguimento dell’uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 comma 2 della Costituzione, alla stregua dei principi costituzionali vigenti, della funzione della pena e del connotato democratico dell’ordinamento penale, non è ammissibile una funzione promozionale del diritto penale quale strumento di rimozione delle cause di disuguaglianza.
Sembra dunque che il Parlamento ceda più facilmente alla tentazione di utilizzare lo strumento sanzionatorio in nome del principio di uguaglianza sostanziale, invece che farsi realmente portatore degli interessi delle persone LGTB
Come è stato osservato icasticamente, infatti, “c’è un’unica seria obiezione che si può avanzare contro la proposta di estendere – ad opera del legislatore – le previsioni della Legge Reale e della Legge Mancino ai comportamenti di matrice omofobica (…). Il problema riguarda il contemperamento del contrasto all’omofobia con la libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.)”.

Renata Natili Micheli
Presidente Nazionale CIF