Il “socialista impellicciato”

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La memoria del tempo, il tempo della memoria

A cento anni dall’assassinio dell’On.le Giacomo Matteotti, segretario del partito socialista, occorre, oltre la celebrazione, trovare la chiave di lettura di quanto accadde all’Italia e agli italiani in un ventennio della nostra storia che non va dimenticato.

Se è vero, come nella nota espressione di Schopenhauer, che “la storia è uguale sebbene diversa” va ben compreso e ricordato, la linea che ripercorse il ventennio nel quale gli italiani persero tutto e al Paese, tolta la gloria, rimase il disonore.

Il delitto Matteotti costituisce un punto di non ritorno nella ventennale evoluzione fascista, sebbene il regime, come del resto nella natura dello stesso, segua una parabola facilmente riconoscibile che può essere così sintetizzata: il sistema non funziona, perciò va riformato, o meglio rifondato.

Accadde anche allora che, come sintetizzato nelle parole usate da Turati nella commemorazione di Matteotti, la democrazia mostrasse il volto della “beffa atroce” sebbene ancora resistessero le procedure.

Tutti ricordano il celebre discorso di Matteotti pronunciato alla Camera il 30 maggio del 1924 con il quale denunciava la violenza del regime che voleva dimostrare come “il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza”. E, con ciò si consegnò alla morte. La storia ancora discute se fu quello l’atto decisivo o se invece fu il discorso che avrebbe dovuto pronunciare il giorno del vile agguato e con il quale avrebbe presentato un dossier riguardante gli accordi, nascosti, tra la corona e la società americana Sinclair Oil per estrarre idrocarburi in Sicilia e in Libia.

Chi ancora discetta sulla responsabilità del regime nell’attentato mortale a Matteotti, rilegga l’autodenuncia di Mussolini il 3 gennaio del 1925 che in un delirio di onnipotenza disse: “io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto avvenuto “.

E così si celebrò anche il funerale della democrazia.

L’Aventino, con il quale le opposizioni guidate da Giovanni Amendola, altra vittima del fascismo, decisero l’estrema resistenza al regime, volle tracciare una linea di secessione politica rispetto ad un Parlamento che “è soltanto una burla”.

Come si vede è un quadro storiografico articolato che delinea la complessità delle azioni e delle reazioni nei momenti di incertezza storica nella quale si confrontano, non solo sentimenti, ma anche risentimenti.

Eppure, occorre sempre, nei giudizi, circoscrivere la “questione morale” in quanto la politica non è semplicemente azione, ingranaggio combinato o confronto di volontà diverse.

La politica ha un prezzo da pagare che non è l’esaltazione della volontà considerata un assoluto, bensì il continuo riconoscimento e la continua difesa dei principi e delle regole e dello stato di diritto e della democrazia costituzionale.